La procedura per collegare Google Adwords con Google Analytics, purtroppo non è molto intuitiva.

C’è stato bisogno dell’intervento dell’assistenza di Google cui devo, per inciso, fare dei super-complimenti: attenti, cordiali, rapidi, efficaci… capaci davvero di risolvere il problema… lontani anni luce dalle mefitiche assistenze dei vari gestori di telefonia, tanto per fare un esempio.
Li ho chiamati quasi in lacrime, e mi hanno risposto con tempestività ed efficienza.
Dopo questa sviolinata Google mi regalerà 10 centesimi di AdWords gratuiti?

La procedura è questa, forza e coraggio! 🙂

Che cosa è la “link building”?

Letteralmente, “costruzione di link”, indica un’attività volta a creare link che puntano al nostro sito.
Se il nostro sito è linkato da altri siti, è logico aspettarsi che il numero di visitatori aumentino.
Essere linkati da altri cosa indica? Che il nostro sito è ben fatto e i nostri contenuti sono ritenuti interessanti da leggere e da suggerire ad altri.

E l’algoritmo di Google faceva leva proprio su questo per posizionare un sito, in relazione alle parole chiave che esso conteneva.
Oltre ai fattori interni alla pagina (parole chiave contenute nel titolo della pagine, nei titoli dei paragrafi, nel corpo del testo) era fondamentale la “link popularity”.
Se tanti link contenenti la parola chiave “abito da sera nero”, puntavano a www.miosito.it, allora per Google www.miosito.it “meritava” di apparire ai primi posti nella pagina dei risultati di ricerca, quando un utente digitava la frase “abito da sera nero”.

Questo meccanismo è quello che ha reso Google leader assoluto, segnando un drastico salto qualitativo, rispetto alla precedente generazione di motori di ricerca.

Ma, una volta compreso il meccanismo, in tanti se ne sono approfittati.

Era possibile acquistare o procurarsi in vario modo migliaia di link per una certa parola chiave e in breve e con poco sforzo il nostro sito sarebbe balzato ai primi posti.

 Con l’algoritmo Penguin, il modo di fare link building è completamente cambiato.

Non trasformare in spazzatura i tuoi investimenti pubblicitari

Premessa necessaria: non vogliamo insegnare a nessuno il proprio mestiere.

Vogliamo essere solo buoni consiglieri, perché è nostra intenzione proporci come consulenti, non solo, come troppo spesso è stato inteso, come puri esecutori tecnico-creativi.

Abbiamo sentito ripetere tante volte, come un mantra: “eh, ma il sito internet ci vuole, ma adesso non è una priorità… lo faremo, ma ora ci sono altre cose importanti su cui dobbiamo concentrarci”.

Perché internet, o meglio il web marketing, non è percepito come un’attività strategica?
Forse perché per anni, in un certo senso, si sono davvero buttati via dei soldi… non tanto in lavori di bassa qualità, ma in lavori la cui reale efficacia non è mai stata misurata.

Chi ha misurato, con un qualsiasi strumento, l’impatto/efficacia del proprio sito web alzi la mano… o faccia un click 😉

Con una Squeeze Page stabiliamo il primo contatto con i nostri potenziali clienti

Non è una denominazione gentilissima, se traduciamo letteralmente il termine “squeeze”.
Squeeze vuol dire spremere… stiamo spremendo un cliente dunque?
No, non è esattamente così. Stiamo solo cercando di stabilire un primo contatto, cercando di costruire quel rapporto di confidenza e di fiducia tipico della Post Trust Era, in cui il cliente è diventato sempre più diffidente di ciò che gli viene detto o raccontato.

Lo scopo della “squeeze page” è quello di ottenere almeno l’indirizzo e-mail di un cliente potenzialmente interessato a noi.
Attenzione, però… Se appena incontrata una persona, chiedessimo subito il suo numero di telefono, senza fornire una motivazione precisa, di sicuro scatterebbe il muro della diffidenza, che probabilmente sarebbe invalicabile, da quel momento in poi.
Allora, è chiaro che bisogna agire in modo molto più soft e in modo da infondere una progressiva e crescente fiducia su ciò che di buono siamo in grado di offrire.

Una squeeze page, (chiamata anche lead capture page, opt-in page o funnel page), non è altro che un particolare tipo di landing page che ha come unico obiettivo la raccolta del nome e dell’indirizzo email permettendoti di avere tutti i dati che ti servono per intraprendere un rapporto con il tuo nuovo lead.

Abbiamo già parlato, in un post dedicato al posizionamento dei siti degli hotel, di Google Panda, uno dei più importanti aggiornamenti agli algoritmi di Google, che penalizza siti di scarsa qualità, in termini di contenuti.

Ora affrontiamo l’altro strano animale di Google: il pinguino.

La costruzione della “link popularity” è cambiata radicalmente dopo l’avvento di Penguin, il recente aggiornamento dell’algoritmo di Goolge. Molti “trucchetti” ampiamente utilizzati dagli esperti SEO, adesso non portano più alcun risultato, o addirittura rischiano di causare una penalizzazione.

Ecco su cosa agisce Penguin:

La SEO per Hotel è morta?

In tanti articoli, che leggiamo sui blog, sono di moda le frasi ad effetto? “La SEO è morta!”.

Ma ci sono articoli più seri, che non parlano per slogan, che analizzano il problema in tutte le sfaccettature.
Come quello di qui parliamo ora, scritto da Manuel Faè e intitolato, appunto: “Il Seo per hotel è morto?

Partendo dal funerale della SEO, le aziende e i consulenti di web marketing puntano tutto sui social media, sul mobile, su Google Adwords ed altre strategie di web marketing.

In realtà, sul totale delle prenotazioni prodotte dal sito web degli hotel il 32,7% delle revenue sarebbe da attribuirsi alla SEO (risultati organici) e il 22,9% al SEM (inteso come PPC).

Tra l’altro c’è anche una evidente relazione diretta tra la qualità della SEO del sito web ed i risultati delle campagne a pagamento (SEM). Migliore è il SEO del sito (soprattutto per i fattori on page), migliore è l’indice di qualità (Quality Index) assegnato da Google alle campagne di ricerca a pagamento, il che significa ranking più alto degli annunci e minor costo per clic.

Ma la SEO fondamentalmente cos’è? Oltre ai sempre importanti fattori on page è soprattutto una efficace e duratura strategia di creazione di contenuti.

Esploriamo questo oggetto, chiamato landing page, che è un sito, o più in generale, una pagina specifica pagina web, ma non è un sito come siete abituati a immaginarlo.

A volte non serve un vero sito… sono soldi, tempo e fatica sprecata.
La landing page è essenzialmente un sito di una pagina (in una visione più estesa un mini-sito di max 2-3 pagine).

Non solo, a volte il nostro sito contiene già delle landing page, solo che non sappiamo come utilizzarle.
Una landing page è letteralmente una “pagina di atterraggio”; quindi qualsiasi pagina sufficientemente specifica e che contenga un testo persuasivo, che convinca l’utente a contattate al nostra azienda per chiedere ulteriori informazioni, è candidata a divenire una landing page.

Quante volte, in questo momento di crisi, interminabile, mi sono alzato dalla scrivania urlando: “Basta! Io vado a vendere Hot Dog (magari a New York, perlomeno)! Non è possibile andare avanti così!”

Beh, l’Hot Dog che piace a tanti, ma non a tutti, ci fornisce un ottimo spunto per ragionare sulle landing pages.
L’idea di parlare degli Hot Dog mi è venuta leggendo la newsletter di Francesco Gavello e il post sul suo blog: Il Business Degli Hot Dog.

Com’è possibile collegare gli Hot Dog con le landing pages?

Ecco i fattori di posizionamento su Google – secondo Searchmetrics – relativi nello specifico al mercato italiano.

La più grande incognita della SEO è sempre stata l’algoritmo, che è, naturalmente segretissimo. Ci sono tantissimi falsi miti e rumors che circondano l’argomento: come è possibile influenzare l’ordinamento dei risultati delle SERP di Google?

Tra i recenti aggiornamenti degli algoritmi di Google, uno dei più importanti è senza dubbio il Google’s Freshness Update, aggiornamento rilasciato a novembre 2011; Google dovrebbe favorire la “freschezza” dei contenuti con una migliore posizione dei risultati nelle SERP.

Quest’ultimo aggiornamento è stato seguito con molto interesse e se ne è parlato molto ma è giusto ricordare che Google posiziona i contenuti sulla base della loro “freschezza” già da qualche anno.

Ripeteremo più volte in queste pagine che mettere online un sito, senza una strategia “editoriale”, per la generazione e creazione dei contenuti, serve davvero a poco.
Ecco quali sono le tipologie di contenuti su cui si può ipotizzare di lavorare; come dice il titolo, sono contenuti che faranno felice anche Google, oltre che i lettori/potenziali clienti.

Appare evidente che dobbiamo superare la tipica obiezione: “eh ma io non so cosa scrivere della mia azienda e dei miei prodotti!”
Di argomenti ce ne sono tantissimi e quello che dobbiamo sforzarci di fare è di costruire una relazione quasi di “amicizia” con in nostri clienti.

È l’epoca dell’amicizia!

La metafora esibita da Facebook, nelle sue modalità di costruire una rete sociale, è quanto mai efficace.

Il Customer Engagement per le marche, non è più garantito dalla “vecchia” customer satisfaction; oggi occorre costruire fiducia e costruire valore intorno alla marca.

C’è una relazione  bidirezionale tra la marca e il consumatore.

I consumi riprendono, forse… si registra un + 2,6%, a maggio 2013, sugli acquisti con carta di credito.
Vola l’online.

La relazione tra consumatore e marca, però, stenta a decollare:

  • il 65% compra la marca solo se scontata (era il 43% nel 2003)
  • il 9% prende le marche migliori anche se costano di più (era il 32% nel 2003)

Le attese verso la marca sono aumentate ma la marca non sembra ancora una soluzione per una exit strategy dalla crisi.

Aumenta la “cattiveria” del consumatore nel giudicare la marca, basta leggere la spietatezza di alcuni commenti su Facebook in una qualsiasi fan page…

Possiamo vedere oltre la crisi?
Certo che sì… i consumi diminuiscono, per ora, ok… sarà difficile tornare ai livelli precedenti, ok… ma è anche vero che il consumo cambia, il consumatore ha una nuova faccia e dobbiamo essere in grado di interpretare i segni del cambiamento.

Recentemente sono stato a un seminario organizzato da Eurisko che, prima di tutto, mi ha rafforzato alcune idee, soprattutto nel campo del web marketing, che già avevo; mi ha fornito nuovi ulteriori elementi di riflessione, con suggerimenti basati su dati scientificamente certi, per affrontare il “momentum” oltre la crisi, e per dialogare con il cliente, che a tratti sembra diventato uno sconosciuto, con cui è difficile dialogare, nel senso che è molto difficile far comprendere gli elementi di novità e le opportunità che si possono cogliere al di là delle apparenze e del pessimismo diffuso dai principali media.

La presentazione è partita con il discorso Bob Kennedy sulla misurazione del Pil; il benessere di una nazione è realmente misurabile dal valore monetario dei prodotti e servizi che essa è in grado di produrre?
L’indice di benessere e soddisfazione personale, dei cittadini, non è forse di gran lunga più importante?