Lo Storytelling Transmediale
Quando creo un libro, descrivo un mondo, che va ben oltre le frasi e i paragrafi contenuti all’interno del libro. Lo stesso vale quando creo un sito web, un oggetto, un programma televisivo, un film, un evento o una opera d’arte.
In ognuno di questi casi, sto raccontando una storia.
Le storie non sono interamente contenute nelle parole che le compongono.
Anche una frase semplicissima ce lo dimostra: “Ero al sole sull’oceano”. Chiunque la legga ha la possibilità di creare nella sua testa la propria versione di questa immagine.
Per alcuni il personaggio si trova su una barca a vela, per altri su un terrazzo meraviglioso con vista sull’Oceano Pacifico.
Altri ancora lo immagineranno su una zattera in condizioni pericolanti, perduto in mezzo al mare. Perché la nostra mente funziona così. Non esiste il vero e il falso. Esistono degli indizi che, messi insieme, ci fanno immaginare alcune cose piuttosto che altre.
E, nel farlo, non siamo neutrali.
Facciamo praticamente tutto da soli: raccogliamo gli indizi e li interpretiamo – a seconda di chi siamo, della nostra cultura, della nostra storia personale.
Operando in modi differenti: attraverso quello che vediamo, annusiamo, ascoltiamo, leggiamo sui giornali.
Attraverso le conoscenze di cui facciamo esperienza sul web.
Attraverso i cartelloni per la strada.
Attraverso quel particolare volantino che è entrato, per un secondo, nel nostro campo visivo, giusto prima di gettarlo via.
Attraverso quell’oggetto, usato da quella persona che per qualche secondo ho visto ieri, mentre salivo sul tram, appena di sfuggita.
Tutti questi indizi si sommano nella nostra mente, per formare quello che sappiamo del mondo. Una conoscenza che contiene tanti buchi e tanti vuoti, che riempiamo tramite
un atto volontario della nostra mente: creiamo un modello mentale delle cose che ci circondano.
Questo è il modo in cui opera il nostro cervello: una modalità che tecnicamente si definisce “transmedialità”.
La nostra mente è transmediale. Incrocia continuamente gli indizi che provengono da tanti media differenti per costruire i modelli mentali secondo cui la realtà prende forma nella nostra percezione. In questo senso non ha tanto significato cercare di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Tutto è vero e falso allo stesso modo, per quanto riguarda il nostro cervello.
Alcune cose diventano più verosimili, perché ci sono più indizi, nella nostra percezione, che ne sostengono la verosimiglianza e/o l’esistenza.
A questo punto la mente fa tutto da sé, e riempie le parti mancanti.
In questo un ulteriore esempio è illuminante: immaginate di tentare di fare una falsa rapina in banca scegliete armi finte, ma verosimili, trovate dei complici che vi reggano il gioco andate in banca e provate a simulare la rapina.
Il risultato è che non ci riuscirete. Fallirete miseramente. Un cliente (vero) della banca avrà un infarto per la paura. Un poliziotto interverrà sparandovi un colpo di pistola.
Un dipendente suonerà l’allarme. Il suo pavido collega vi consegnerà il bottino implorando “Ho famiglia, la prego non mi uccida!”.
Non riuscirete a fare una “falsa” rapina in banca perché la percezione del vero si mischierà a quella del falso in modo irrimediabile. La nostra mente è continuamente in questo stato. Ed è così che funziona la comunicazione: in maniera transmediale.
Questa considerazione è profondamente legata ad un problema storico del design, uno dei più attuali.
Il descrivere forme senza costruire mondi, e di conseguenza attivare la tipica modalità della mente di riempire gli spazi e crearsi un personale modello della realtà. L’attivazione di quest amoralità crea, naturalmente, coinvolgimento ed interesse.
ll Design trascura troppo spesso la transmedialità propria del nostro cervello.
La capacità di creare non solo un oggetto (un evento, un edificio, un allestimento…) ma anche e soprattutto di descrivere il mondo in cui questo oggetto vive ed esprime la sua importanza, diventa cruciale nel mondo contemporaneo in cui i media sono ubiqui.
Smartphone, tablet, internet, social network, internet delle cose, cartelloni, flash mob, etichette interattive, sensori, pubblicità, messaggi, comunicazione “ubiqua, nomade e interstiziale”.
Tutto il mondo ci invita alla transmedialità, creando indizi su ciò che è vero, desiderabile, possibile. Indizi che noi utilizziamo costantemente per formare i nostri modelli mentali del reale.