Noi “contro” mio cuggggino

Prima di tutto occorre sapere che “mio cuggggino” va scritto rigorosamente con almeno 4g, un po’ come le reti dati di ultima generazione. Ma, come le reti dati di ultima generazione spesso non vanno veloci come dovrebbero, così, altrettanto spesso, il cuggggino, non fornisce risultati all’altezza delle aspettative.

Naturalmente, tutto ciò che state per leggere non è da ritenersi valido per coloro i cui cugini fanno realmente i web designer o i web marketer di professione.

Il cugino (mi si conceda l’omissione delle g, per semplicità, da ora in poi) protagonista della nostra storia è invece, più semplicemente, “quello che è bravo con il computer”, quello che “sì mi ha anche aggiustato il computer che aveva un virus, figurati se non mi sa fare un sitino di 2-3 pagine”.

È colui che, nell’immaginario di molti, sarà in grado in poco tempo e con poca spesa di crearvi il sito internet, perfetto per voi e la vostra attività.

Il cugino e il web designer vivono da anni un rapporto conflittuale, senza incontrarsi mai da vicino, ma guardandosi in cagnesco da dietro l’angolo. Spesso l’account dell’agenzia incrocia in modo fuggevole i cuggggini, nell’atrio o nella sala d’attesa delle aziende in cui si è recato a presentare un luccicante ed agguerrito piano marketing, studiato appositamente per rinnovare completamente l’immagine web del potenziale cliente.

La situazione sì è evoluta negli anni… o si è involuta? sì beh, insomma la situazione negli anni è mutata più volte, tanto che potremmo azzardare la suddivisione in diversi fasi o epoche storiche.

  1. gli albori del web
  2. il web 2.0
  3. oggi, il web 4g (no, non è una nuovo insieme di strumenti di web marketing di cui non avete ancora sentito parlare). È sempre e soltanto di nuovo lui (quasi sempre, non solo a volte, ritornano). Lui chi? Ma mio cuggggino. E chi sennò?

1. Gli albori del web

All’inizio effettivamente non era facile distinguere tra un professionista e uno “smanettone”. Certo di norma uno prima di mettersi a fare qualcosa deve studiare, almeno qualche anno, non una notte, deve prendere un diploma, non essere bravo ad ammazzare 100 nemici al secondo con Doom (videogioco che furoreggiava all’epoca).
Ma sul web questo non è avvenuto. E il web si è subito infestato di creature multiformi, multicolore e troppo, troppo multimediali. Ricordate le gif animate, i titoli 3d giallo fosforescente che ruotavano su sé stessi, gli sfondi con pattern da attacco epilettico?

Certo già allora c’erano i professionisti che creavano pagine sobrie, con soli 2-3 colori, eppure gradevoli ed eleganti. I pazzi magari utilizzavano solo 2-3 font al massimo, e… follia! Si rifiutavano di utilizzare il meraviglioso Comic Sans -> clicchi qui chi, beato lui, non ha mai visto all’opera il Comic Sans, o chi, dannato lui, lo ha visto e ha pensato: “però, carino stò font”.
I professionisti realizzavano questi siti principalmente per sè stessi, per promuovere la neonata professione di web designer. Le aziende intanto si trastullavano con i gradienti di mille colori e con i fiocchi di neve animati, che comparivano in home page intorno al primo dicembre, per scomparire… intorno a ferragosto.
Tutto ciò è durato almeno fino al 2003-2004 o giù di lì.

2. Il web 2.0

Il web 2.0 aveva alcune principali caratteristiche.

sul fronte grafico si caratterizzava per una sana ossessione verso colori sobri, tinte piatte, font eleganti, piacevole e tranquillizzante minimalismo. E però convincere un cliente che eravamo nel web 2.0 non era sempre facilissimo.
sul fronte tecnico avevamo un codice più snello e una marcatura del codice di tipo semantico. In parole povere quello che vedevo a monitor, nel codice, invisibile per il normale utente, era marcato per il suo reale significato (un titolo era marcato come titolo, un elenco come elenco). Prima una scritta era marcata perché era rossa, piccola, in alto a sinistra (ed era pure etichettata come “scritta molto carina”, giusto per ricordarsi bene quale scritta fosse). 
Dare un significato semantico ai testi e ai contenuti del web ha fatto fare un balzo quantico nella possibilità, per i motori di ricerca, di fornirci risultati utili e davvero coerenti con quanto stiamo cercando.

Poco più tardi, intorno al 2009/2010 si è aggiunta una terza caratteristica (alcuni a questo punto lo hanno definito web 3.0): quella dell’interazione, della condivisione sociale, della bilateralità del messaggio. Non più solo un emittente e un ricevente, ma un ricevente che diventava a sua volta emittente e poteva chiedere, rispondere, dire la sua.
E in questi anni abbiamo vissuto in un sogno: il sogno di un mondo online dove tutto fosse gratuito, grazie al proliferare di molteplici applicazioni web che ci promettevano di fare “questo è quello” con pochi semplici click, ma, soprattutto, senza conoscere il codice.
Come se un architetto potesse progettare con bellissimi strumenti di disegno, senza conoscere alcunché delle leggi della fisica che permettono ad un edificio o ad un ponte di stare in piedi, anche se tira un po’ di vento.
In questo nuovo mondo non c’era alcun bisogno di studiare o di impegnarsi per essere sempre all’avanguardia. Il web 2.0 forse ci liberava da quei rompiscatole dei programmatori e degli informatici, sempre pronti a complicare tutto.

Mi piace a questo punto citare una frase di un ottimo articolo scritto da Walter Vannini.
https://www.mind-spa.it/2015/06/12/cookie-law-basta-caciara/?fb_ref=Default#

“E in questo mondo meraviglioso non c’era più bisogno di fare budget, valutazioni, raffronti, compromessi: sarebbe bastato aprire una pagina su Facebook e la gente avrebbe fatto la fila per diventarne fan. Per fare cosa? Non importava. Eri diventato interattivo. Potevi avere mille fan in una notte. E se per caso scarseggiavano i fan veri, ecco che con qualche euro ne potevi avere 5mila, 50mila, finti ma che facevano numero, e il numero è già notizia, e i giornali e le televisioni avrebbero parlato di te, si sarebbe generato il buzz, avresti avuto visite, like, saresti diventato una star. E se eri un’azienda, le agenzie erano lì con le loro analytics a parlarti di engagement, di bounce rate…”

E questo sogno ci stava trasportando velocemente, a suon di like, verso il web di oggi…

3. Il web di oggi

Oggi forse il sogno è finito. Con la famigerata cookie law, il Garante sta facendo la cosa giusta. La sta facendo nel modo più sbagliato e controproducente possibile, ma… che siano i primi segnali che ci mostrano che sta davvero arrivando l’epoca del professionismo? In cui solo chi sa cosa sta facendo può mettere le proprie mani e le proprie dita, abituate a cliccare compulsivamente, su un sito web aziendale.

Se questo accadrà davvero dovremo fare un nuovo articolo sulla quarta era del web. Speriamo di doverlo fare, presto.

Per ora, però siamo alla fase 3. Quella in cui, ancora, un preventivo di una web agency, che non comprende più solo il design e la programmazione del sito web (ma anche un coerente piano di web marketing), sono affiancati a un preventivo da 70€, per un sito realizzato con Wix. E il web marketing è ridotto a qualcosa che: “sì lo so che mi serve… ma però ora faccio il sito, così almeno ci sono, poi vediamo tra qualche mese… sa le spese sono tante, mi piacerebbe fare quello che lei mi consiglia ma per ora non me lo posso permettere.

Poi magari vi chiamo per adwords, che capisco che è difficile, ma per ora il sito me lo fa mio cugino, o mio nipote, o il figlio della sorella della nostra impiegata alla contabilità, che, mi creda, è bravissimo con il computer. Non verrà bello come il vostro, mi rendo conto, ma visti i tempi, io per ora mi accontento.”

La nostra storia continua. Nel prossimo post vi spieghiamo il perché alcune delle affermazioni fatte dall’immaginario cliente si rivelano un autentico suicidio, dal punto di vista del marketing e della comunicazione.

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